Lo stretto era chiuso. Non avevano letto il bollettino e il tempo era brutto E stava diventando sempre più brutto. Tornare indietro era inutile. Optarono per il vento al traverso, per Ceuta. Porto franco spagnolo in Marocco.
Un altro posto triste, trafficato e sporco. Solo pescherecci. Tutti neri. Ormeggiarono all’inglese (a fianco) a un peschereccio. Così nero che i parabordi diventarono completamente neri di grasso continuando a strusciare, con il mare mosso anche in porto, la barca ballava anche se ormeggiata, la puzza di gasolio era forte.
Avrebbero aspettato il giorno dopo, magari migliorava. Avevano verdura e patate. Qualcuno pensò di andare a cercare dove telefonare. Così si incamminarono con la marea di gente che aspettava e scendeva dai traghetti per la Spagna.
Correo. La posta e il posto dove era possibile fare un “cobro revertido”: la telefonata a carico del destinatario.
Tutti in fila chiamarono a casa. Anche lei chiamò. Situazione disastrosa. La madre aveva ripreso a fumare. Il fratello le disse di tornare perché non la situazione era inreggibile. La madre non capiva nulla e le chiese di tornare, che non aveva avuto il coraggio di dirlo al padre, che le avrebbe tolto la tutela del fratello, che la stava ammazzando. E i cani come stanno, chiese lei senza preoccuparsi troppo, ben conoscendo i livelli di ansia che c’erano in quella casa dove la vita era un dramma quotidiano da affrontare con urla, strepiti e cattiverie gratuite. Nessuno le chiese come stava e se andava bene. Lo disse lei e provò a raccontare qualcosa ma – lo sapeva ma tentava sempre – nessuno era interessato. Era preoccupata per i cani ma doveva avere fiducia che avrebbero resistito per quel periodo. E pensò che finalmente suo fratello, senza di lei come filtro, si stava sorbendo la realtà materna in tutto il suo splendido delirio. Il pupone sempre protetto adesso se la doveva sbrigare da solo. Almeno per una volta. Così vendicativo com’era, chissà cosa le avrebbe fatto passare al ritorno ma non era necessario preoccuparsi lì, a Ceuta in attesa di vedere lo stretto di Gibilterra, in un ufficio postale saturo di folla, fumo e parole.
Fendettero ancora la fiumana di gente e tornarono sulla barca. Tante patate uguale a tanti gnocchi. 670 gnocchi, per le otto di sera occupavano tutto il tavolo del quadrato. L’acqua bolliva e iniziarono la cottura. Fabio al mestolo scolava e riempiva il piatto, Giorgio ala salsa e, man mano, furono tutti seduti. La barca che ballava sempre, il sugo che una volta centrava il piatto, una volta cadeva in terra per un colpo alla fiancata, del peschereccio.
Ala fine, seduti a giocare, chi a backgammon chi ha scopone, ridevano della situazione, dei parabordi neri come la pece e del fatto che lì, finalmente, la radio funzionava. Così vennero a sapere che John Lennon era stato assassinato. Era l’8 dicembre. Rimasero ammutoliti. Incrociarono le dita sperando di poter partire l’indomani.

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