IL MANGIATORE DI FIORI 5°

Renato sapeva chi era ma non avrebbe voluto spodestare la madre, dalla quale in cuor suo, desiderava, da sempre, l’approvazione. 

Il suo desiderio era solo migliorare la “casa delle rose”, voleva lavorare al fianco della madre, sostenerla, compiacerla.

Elvira era troppo egoista e narcisista per comprenderlo. L’antipatia, il rifiuto di quel figlio, aumentarono con il passare degli anni.

Fino alla morte del padre era lui, lui solo, il colpevole per quello che lei viveva come un soggiorno forzato al lago.

In seguito, venuta a conoscenza della situazione reale, dovette ricredersi, non era colpa del figlio. 

L’antipatia prese una strada diversa e si tramutò in profonda gelosia.

Nonostante tutti gli sforzi materni per denigrarlo, era diventato un partito molto ambito tra le rappresentanti dell’alta società e della ricca, emergente, borghesia industriale. Le estati erano sempre molto affollate nella villa.

Renato aveva ricominciato ad attirare la bella gente. La madre anziana, stava diventando quasi una parodia della “gran signora” ma non se ne accorgeva.

Tutti i suoi atteggiamenti diventavano ridicoli: li esagerava per far eclissare la fulgida immagine del figlio.

La situazione era veramente grottesca. La madre cercava qualsiasi scusa per infilare qualche critica al figlio, specialmente di fronte agli altri, senza comprendere i danni che stava facendo; giustificata dall’età, veniva assecondata tra risatine e commenti sottovoce.

Renato era diventato un gran signore, laureato in botanica grazie il lui “la casa delle rose” si era arricchita di un parco degno di essere visitato per la varietà e la bellezza delle piante e per la magnifica serra con rare piante tropicali.

All’inaugurazione del parco come giardino botanico, giardino sostenuto anche dalla facoltà di agraria, per evitare qualche scenataccia della madre – ormai, secondo molti, sulla strada della demenza senile – fece in modo che fosse lei l’attrattiva principale del momento. 

Donna Elvira ormai odiava quel figlio perfetto senza un difetto. La sua unica occupazione era cercare di coglierlo in fallo, ma Renato non aveva manie, o qualcosa di utile al suo sciocco scopo di vecchia megera.

Solo la vecchia, cara, amata Sandrina sapeva che Renato aveva una stranissima passione: mangiava i fiori.

Donna Elvira – proseguiva la nonna Teresa ricordando i racconti sul piccolo rampollo, che arrivavano in passeggiata – non si occupava del figlio. Ogni tanto, per qualche ragione sconosciuta, diventava esigente, iniziava a controllarlo fino a quando ricominciava ad annoiarsi. Quel povero bambino era sottoposto ai capricci più strani. 

Un anno lo obbligò a dormire nudo sul materasso e a fare il bagno nel lago tutte le mattine. Smise quando al piccolo fu diagnosticata una brutta bronchite.

“Per tutte queste storie, per me era già chiaro che, alla fine, quella famiglia, monca, sarebbe finita male” e la nonna cominciò a raccontare del perché Renato mangiava i fiori.

“Anch’io lo vidi, mi ricordo quello scheletrino, denutrito” e scosse la testa, come avesse l’immagine davanti agli occhi.

Lo mise a stecchetto. Lo obbligò a mangiare con lei solo due foglie di insalata e lo seguiva per tutto il giorno. A merenda gli era concesso un tè con due biscotti.

Sandrina era disperata ma non riusciva a dare niente da mangiare al suo prediletto, che stava lentamente deperendo per la fame. Di notte la camera veniva chiusa a chiave.

In camera Renato aveva solo un libro. L’Odissea. Ogni notte leggeva e rileggeva e pare che furono i lotofagi ad ispirarlo.