IL MANGIATORE DI FIORI 6°

Cosa successe? Il parco gli fu di aiuto. Renato, povero piccolo, aveva una fame da lupo e pensò che, se i fiori erano così belli e avevano quel buon profumo, si potevano anche mangiare. I lotofagi del libro li mangiavano, magari gli avrebbero portato un po’ di benessere e avrebbe dimenticato la fame.

Cominciò a sfamarsi mangiando i fiori.

Nonostante la madre lo pedinasse tutto il giorno, lui mostrò un grande amore per il profumo dei fiori. Si avvicinava alle piante fiorite e ci tuffava il faccino ma non annusava, iniziava a mangiarli. 

Scorpacciate di rose, qualche spina lo pungeva ma non importava, si arrampicava sul ciliegio, sul melo, le grandi ortensie erano le sue preferite, come lo erano i fiori del glicine, quando riusciva a salire sul tavolo sotto il bersò prima che arrivare la strega.

Alla fine si saziava, si fa per dire, però i fiori, un poco dovevano averlo nutrirlo, stava meglio. Il problema era la masticazione senza che la madre pedinatrice se ne accorgesse.

Quelli che non riusciva a mangiare li infilava nelle tasche.

Un bel giorno la madre pensò che era ora di smettere la dieta – esisteva una buona probabilità che qualcuno le avesse fatto notare come suo figlio assomigliasse più a uno scheletro che a un bambino sano – di punto in bianco decretò che Renato dovesse riprendere a mangiare.

In qualche modo, Renato rimase eternamente grato ai fiori. 

Per questo si laureò in botanica, per questo amava il parco della “casa delle rose” e lo trasformò in uno splendido giardino botanico.

Di nascosto continuava a mangiare i fiori. 

Sandrina lo sapeva e si era specializzata in insalate con i fiori.

Quello che amava fare quell’uomo era uscire, andare al grande muro fiorito, luogo prediletto, per affondarci la testa, mangiare e annusare.

Nonostante i deliri di Donna Elvira alla “casa delle rose” la vita era piacevole.

Renato non era molto interessato alle donne – in verità si era innamorato in collegio di una ragazza dai lunghi capelli biondi – ma l’idea di sposarsi era molto distante dal suo mondo. Lui aveva le sue piante e una madre insopportabile da sopportare, ancora per qualche anno, poi l’avrebbe messa in una casa di riposo. Ormai era chiaro che soffrisse di demenza e quando andava in giro faceva solo danni. Era diventata una bambina dispettosa. 

Nel futuro, pensava il paziente figlio, incontrerò la mia anima gemella. Credeva, aveva riposto le sue speranze, forse meglio dire così, nella predizione della chiromante. La incontrò una decina d’anni prima, quando una compagnia di giocolieri ambulanti si fermò in paese per l’estate.

Dopo la passeggiata al tramonto e aver distribuito saluti a tutti quelli che incontrava, Renato si ritirava sotto il bersò e mangiava il glicine.

D’inverno, a parte i bucaneve, gli era venuta l’idea di acquistare la marmellata di rose, bulgara. Ne divenne un estimatore e iniziò a venderla anche alla villa.

La “casa delle rose” e la marmellata di rose si accordavano alla perfezione.