Non che Renato non avesse la gestione della cassetta di sicurezza, solo per rispetto alla madre, glielo chiese formalmente.
La madre, come si aspettava, fece una scena melodrammatica e si rifiutò di dare la sua approvazione.
Renato capì che non doveva sperare più nulla da quella donna anziana, inacidita dalla felicità altrui. Si dispiacque ma non diede molta importanza alla sua risposta negativa.
Ci furono i preparativi per il Natale.
Per il fidanzamento Renato fu costretto a spiegare come si sarebbero svolte le cose.
Sua madre era meglio non fosse presente perché si rischiava una scena delirante, povera donna, ormai non c’era più con la testa.
La povera donna senza dubbio era andata fuori di testa però, la cattiveria che era affiorata la faceva diventare molto lucida ed operativa per perseguire i suoi orrendi obiettivi.
“Alla fin fine” – disse mia nonna, dall’alto della sua saggezza – “per me la Donna Elvira, era diventata perfida, tutto qui”.
La vuotezza della forma aveva preso il sopravvento. La vita mondana della sua gioventù aveva preso il posto di quella che avrebbe dovuto essere una vecchiaia felice, ricca di storia e affetti.
Purtroppo le circonvoluzioni della sua mente ruotavano intorno a una follia malvagia.
Lei non avrebbe partecipato al pranzo di Natale. Lei avrebbe mangiato in camera la sua pastina.
Con grande dispiacere di tutti, forse non così grande, la cena della vigilia, nella grande stanza del camino, si aprì con una serie di piccoli antipasti alla piemontese, un panettone salato e un brodo di pesce al profumo di mandorle.
I commensali, felici, terminarono con l’annuncio del fidanzamento.
Il matrimonio sarebbe stato celebrato a fine maggio.